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marzo 31, 2012

Melograno al cartoccio, agronomia ed estetica, biologia e cultura giapponese, scultura e botanica, filosofia zen e falegnameria.

Una delle cose che più mi entusiasma del bonsai è la sua interdisciplinarità che ti permette di approfondire dottrine e materie che all’inizio possono sembrare così lontane fra loro: agronomia ed estetica, biologia e cultura giapponese, scultura e botanica, filosofia zen e falegnameria.

Circa un anno fa è atterrato nel mio giardino questo melograno di circa 20 kg con diverse parti di legna secca da lavorare.

In tutto questo anno l’ho lasciato vegetare tranquillamente senza eseguire nessuna lavorazione particolare.

Ormai sta diventando una mia regola aspettare almeno una stagione vegetativa prima di approcciarmi ad una pianta di cui non conosco perfettamente la storia.

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In questi giorni, prima che iniziasse la nuova germogliazione, ho voluto approfittare per iniziare a lavorare le parti di legna secca con lo scopo di alleggerirle e renderle più naturali ed interessanti.

Armato di scalpelli, sgorbie, martello e pinze ho passato diverse ore a picchiare, scavare e strappare le fibre del legno cercando di seguirne l’andamento e sfruttando qualsiasi spaccatura ed incisione dove poter affondare gli utensili.
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Finito il lavoro da Geppetto è arrivato il momento di usare la fiamma per eliminare i filamenti del legno ed i segni provocati dagli utensili e da qualche colpo di fresa.
Ho iniziato con il proteggere tutto il perimetro del bordo fra la parte secca e quella viva con il DAS, quella specie di creta che da piccoli usavamo per cercare di fare vasi e sculture e con il quale impiastravamo tutta casa.
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Finita questa operazione è necessario proteggere la ramificazione. Fortunatamente in questo caso risulta più facile essendo ridotta al minimo non avendo ancora le foglie.

Per fare questo di solito uso carta per asciugare le mani che avvolgo tutta intorno ad ogni singolo ramo o palco e che poi bagno abbondantemente vaporizzando acqua fino a quando non è completamente inzuppata.
 
Il principale problema che si crea ogni volta è la debolezza della carta stessa che tende a cadere dal ramo oppure che tende ad asciugarsi in fretta, per cui devi continuamente interrompere il lavoro con la fiamma. L’uso di stracci al posto della carta diventa difficile per il loro peso, una volta che sono bagnati, e quindi vanno a gravare sulla ramificazione.
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Allora?
Semplice! Si prende la pellicola di alluminio che ognuno di noi ha in casa e si avvolge ogni ramo o palco, sopra la carta bagnata, cercando di delimitare il meglio possibile la zona da proteggere ed avendo l’accortezza di lasciare un’apertura da dove poter successivamente bagnare all’interno la carta che mantiene fresca la vegetazione.
La pellicola di alluminio ha diversi vantaggi tra i quali quello di mantenere la sua posizione una volta sistemato sul palco di vegetazione e proteggere ulteriormente dal calore.
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Terminato il lavoro di avvolgimento e protetta tutta la vegetazione si può procedere con la fiamma.
In questo caso ho insistito molto, sfiaccolando il legno fino a vedere una fitta ragnatele di criccature e gli spigoli che diventavano rossi, per cercare di eliminare quanto più possibile i segni della precedente lavorazione e per accelerare il processo di invecchiamento della legna secca. Ogni volta poi vaporizzavo la parte bruciata con acqua per raffreddare la zona e accentuare l’effetto di criccatura sul legno secco.
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Una volta completato il lavoro di “gratinatura” ho spazzolato tutta la parte di legna secca con una spazzola di ottone per eliminare la polvere di cenere. La superficie si presenta abbastanza levigata ed i segni della lavorazione è quasi completamente sparita.

Tocco finale per completare la ricetta: cospargere tutta la superficie con una soluzione di liquido jin che può essere applicato puro oppure con diverse diluizioni in funzione del risultato che vogliamo ottenere.

Per completare questo primo step ho anche steso la ramificazione principale approfittando della mancanza di vegetazione.
Adesso tanto sole e un adeguato piano di coltivazione per aumentare la ramificazione.
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Potatura di risistemazione della ramificazione.

4f7b7defDopo la caduta delle foglie si può (e si deve) eseguire una potatura di risistemazione della ramificazione, operazione necessaria specialmente per quelle essenze che in primavera hanno vegetazioni abbondanti e vigorose, come ad esempio gli aceri e le zelkove.

 La scelta del periodo per eseguire questa operazione non è casuale, si sceglie quello successivo alla caduta delle foglie perché è in tale lasso di tempo che la pianta subisce il minor stress possibile ed i rischi di perdere i rametti per ritiro di linfa sono davvero nulli.

La risistemazione della ramificazione prevede essenzialmente la potatura dei rametti troppo lunghi, quelli verticali e perpendicolari al ramo, quelli nelle ascelle, ed infine, se necessario, la messa a filo per direzionare qualche nuovo rametto.

Detto questo passiamo all'esemplare in questione; il bonsai che sto per mostravi è uno shohin di zelkova (altezza 20 cm.).


Come potete notare la ramificazione di questo shohin è davvero notevole, e l'obiettivo da perseguire è senz'altro quello di migliorarla il più possibile rendendola quanto più fitta e vetusta possibile.

Particolare della ramificazione
La primissima operazione che ho eseguito è stata una bella spazzolata dei rami ed una pulizia del terreno dal muschio.

Attrezzi usati per la pulizia del terreno e dei rami

Ecco lo shohin al termine della pulizia
Arrivato a questo punto, forbici alla mano ho eseguito una prima potatura di correzione dei classici difetti di ramificazione che si manifestano anno dopo anno.

Rametti troppo lunghi da accorciare

Rametti che partono dalle ascelle

Rametti posizionati al di sotto della ramificazione primaria

Esempio di rametto ascellare da eliminare

Rametto visto di profilo

Potatura eseguita

Profilo del palchetto dopo la potatura

Ecco come si presenta la zelkovetta al termine di una prima potatura di correzione dei difetti
Al termine della potatura di correzione, si passano in rassegna tutti i rami per vedere se ce ne sono alcuni da mettere a filo e posizionare nel giusto modo. Generalmente viene impiegato del filo di alluminio, molto più malleabile di quello di rame e più "delicato" con i rami delle caducifoglie. Una piccola nota: l'applicazione del filo in questo periodo non sortisce un effetto immediato sulla messa in posizione della ramificazione, tuttavia è preferibile farlo comunque perché con la ramificazione spoglia si ha una migliore lettura della stessa ed una maneggevolezza maggiore nell'applicazione del filo.

Particolare di una branca messa a filo

Branca vista dalla alto
Ecco come si presenta il bonsai in questione dopo la risistemazione della ramificazione:

Di seguito la classica foto Prima-Dopo ;)

Alla fine, come mio solito, non potevano mancare i classici buchi nel terreno per migliorare l'areazione del substrato ed evitare il ristagno d'acqua, problema che in autunno-inverno può mietere parecchie vittime [xx(]

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Imparando dalla Natura con cesoie e filo, ma anche con il cuore, sui nostri bonsai.

5c3dc52eE' particolarmente stimolante l'aspetto di una montagna silvestre dove si possono osservare la dolcezza e, nello stesso tempo, l'austerità della Natura.

 

Durante l'inverno si susseguono giorni rigidi a causa delle nevi, del ghiaccio, della tormenta e delle slavine. In primavera, quando la neve incomincia a sciogliersi sotto il calore tiepido del sole, il mondo della Natura viene avvolto da fitta bruma e viene inumidito da finissima pioggia, che aiuta la crescita delle piante.

 

D'estate la flora patisce la violenta calura del solleone e della siccità; poi, con l'avvicinarsi dell'autunno, il clima muta all'improvviso ed il vento e le alluvioni strappano le foglie e i rami delle piante. Più tardi le foglie rimaste sugli alberi incominciano a tingersi di rosso giallastro con lo scendere della temperatura e poi, con la prima brina, queste cadono e la Natura si prepara ad affrontare le rigide temperature invernali. Lo splendido aspetto degli alberi viene elaborato da questi fenomeni naturali ciclici. Quindi è garantita un'ottima riuscita nel formare un bel Bonsai se si effettuano interventi corretti sulle piante, imparando dalla Natura.


Riprodurre cioè i fenomeni naturali che si verificano periodicamente durante le quattro stagioni mediante l'uso delle cesoie e del filo, ma anche con il cuore, sui nostri bonsai.


Estate, la stagione del sole. Questa è la stagione in cui rami e foglie, particolarmente negli alberi giovani, crescono vigorosi; questo, unitamente a radici solide e ben ramificate, aiuta gli alberi a crescere in modo sano e forte.


L'estate è anche la stagione dei temporali estivi. Le precipitazioni eccessive ed il vento violento provocano inondazioni e frane disastrose. Che tipo di influenza potranno esercitare sulle piante tali avvenimenti? Spezzati i rami lunghi e robusti, si rinforzano quelli piccoli e delicati. Inoltre, poiché le gemme vigorose cresciute all'apice dei rami vengono eliminate dagli agenti atmosferici, questi acquisteranno un aspetto arrotondato e grazioso. Nel Bonsai tale opera della Natura viene realizzata artificialmente per mezzo della sostituzione dell'apice. L'alluvione e lo smottamento, scoprendo e dilavando le radici, provocano il NEAGARI;

 

la massa voluminosa di ghiaia, rovinando i tronchi, produce lo SHARI.
Specialmente sulle sponde di un torrente, quando sale il livello dell'acqua, le foglie vengono spazzate via dalla corrente. Nel Bonsai, per simulare questo fenomeno, si effettua la defogliazione; un albero vitale metterà subito nuove foglie.

Il lampo, d'estate, colpisce violentemente gli alberi grossi e alti e, bruciando l'apice, produce il TENJIN, lo SHARI e la cavità del tronco.

 

A seconda del luogo e del terreno in cui vivono, alberi che pur appartengono alla stessa specie, crescono prendendo forme diverse. Ciò avviene anche con i bonsai, in cui ciascuno di noi esprime il proprio carattere. Quando si coltivano bonsai, la cosa più importante è scegliere le essenze tipiche del proprio paese e di dare loro una forma simile a quella degli alberi che crescono in quell'ambiente.


Anche se non è sbagliato imitare le forme del bonsai giapponese, è giusto cercare di creare un bonsai che s'ispiri agli alberi tipici del luogo. Un vero bonsai si ottiene lavorandolo a lungo, modellandolo a poco a poco, così da ottenere una forma artistica e dignitosa. Benché sia possibile fuori del Giappone creare un bonsai simile per caratteristiche ad un albero giapponese, sarà difficile che possa mantenere la forma datagli nelle generazioni successive, perché essa non ha un correlativo nel paesaggio di quel paese.


Se si lavora un'essenza autoctona, tutti potranno comprenderla, ammirarla e accettarne la bellezza, sicura garanzia che le generazioni future potranno mantenerne la forma.
L'albero giovane cresce adeguandosi alle variazioni dell'ambiente. Può diventare grosso o rimanere sottile, crescere diritto oppure curvo. Quando cresce in uno spazio dove il terreno è ben concimato, diventerà grosso. Cresceranno molti rami a partire dalla parte inferiore. Le foglie saranno vigorose e il tronco ingrosserà sempre di più, diventando un albero basso e tozzo (disegno 1).


L'albero sottile cresce su terreno magro, dove ci sono alberi fitti. I suoi rami non si estenderanno orizzontalmente e poiché i raggi del sole non arriveranno a quelli inferiori, questi scompariranno. Questo tipo d'albero diventerà* alto e sottile, con foglie poco sviluppate (disegno 2).

Gli alberi che crescono diritti, come il cedro e l'olmo, avranno rami diritti .

Gli alberi che crescono sinuosi, avranno rami con andamento sinuoso

Tutti gli alberi in natura seguono questa regola. Se proverete a dar forma ai vostri bonsai tenendo conto di queste osservazioni, certamente otterrete un bell'albero, in armonia con le leggi naturali.


Cerchiamo di creare un bonsai che ha una forma corretta. Come l'artista imprime all'opera il proprio stile, così noi possiamo far vivere la nostra personalità* nel bonsai.
E' molto importante lavorare seguendo le leggi della natura, evitando di lasciarci attrarre soltanto dall'esteriorità.


La vera bellezza del bonsai si ottiene mentre si realizza, impegnandovi anni e anni. Solo così il bonsai avrà* quella dignità che lo distinguerà dagli altri e che darà emozione a chi lo guarda

 

fonte: Napoli Bonsai Club

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Giappone: la natura e l'anima delle cose.

Ogni cultura ha qualcosa da insegnare alle altre e in particolare modo, secondo me, quella giapponese può aiutare noi europei a recuperare un rapporto con la natura che per molti sta diventando sempre più alieno e distorto. Noi la stiamo sempre più escludendo dalla nostra vita.
Un primo carattere dell'arte giapponese, è quello della ricerca di una schiettezza che veli o nasconda ogni senso d'artificio.

L'uomo giapponese non si contrappone alla natura, non vuole correggerla né modificarla; alla natura non comanda, ubbidisce; fa talmente parte del mondo e si sente così unito con l'inconsapevole fluire delle cose, che non ardisce separarsi da quell'organismo alla cui vita invece vuole aderire con passiva appartenenza.

Compito dell'arte non è dunque, in Giappone, architettare nuovi mondi, ove l'uomo rivaleggi col Creatore nell'immaginare arcane combinazioni di forme nuove. Il giapponese è soprattutto "natura"... ecco perché adatta la sua vita e la sua arte al ritmo delle stagioni; la primavera fiorisce anche nelle sue vene, ed i rigori dell'inverno che ammantano i villaggi di nevosi silenzi, contristano il suo spirito dello stesso rassegnato illanguidimento delle cose: è il momento del "sabi e wabi": solitudine triste e rassegnata che si prova solamente in Giappone.


Zelkove (in perfetto stile hokidachi, a scopa rovesciata)

La casa classica giapponese è lo specchio della natura; le pitture (kakejuku) si avvicendano, a seconda dei mesi, nel "Tokonoma", piccola alcova in cui è inserito come drappo una poesia o pittura relativa alla stagione che si sta vivendo, e così pure i bonsai nel "tokonoma". Anche le vesti imitano i disegni e i colori che il corso dell'anno traccia sulla terra. Nella casa giapponese alita il respiro del mondo. Non è come la nostra casa che isola l'uomo e lo circoscrive come in una fredda astrazione ove l'uomo trionfa, ma tace la natura; trova se stesso, ma non gli giunge l'anima delle cose.

A noi occidentali la natura appare come un vasto regno meraviglioso, da ammirare, ma del quale ormai, incedendovi noi da signori e padroni, non esiste più ombra di mistero. In esso tutto è chiaro, ridotto a leggi precise e fisse che svelandone l'intimo moto ce ne danno il possesso. I giapponesi, invece, trascinati da un arrendevole abbandono dalle sue vicende, amano sprofondarsi in questa natura.

Con affettuosa sensibilità partecipano al travaglio della vita cosmica, a quell'avvicendarsi di luci, colori, languori e fremiti che noi chiamiamo ritmo delle stagioni. L'uomo non subisce le stagioni difendendosene, sfuggendovi o adattandovisi, ma ne sente in se stesso germinare il misterioso processo. Se fa caldo noi ci rifugiamo in luoghi alpestri; se fa freddo corriamo dove la temperatura è mite. Il nostro insomma è un evadere le leggi del mondo. Il giapponese non protegge la casa dal rigore invernale o dall'afa estiva: vuole partecipare ai brividi della natura, ai suoi languori e alle sue febbri.

Con pareti sottili di legno, la casa classica giapponese, senza vetri, è un tetto più che un riparo. L'interno poi ci colpisce per la sua povertà nuda che è sfarzo. Una certa parvenza di sfoggio si può eventualmente trovare soltanto nel "tokonoma", quadro magico evocatore della stagione che a volte mostra un ramo di ciliegio in fiore, un crisantemo, oppure un ramo invernale la cui nudità un qualche uccello smarrito riscalda. Ci sono poi, i "bonsai".

Esemplari in miniatura che riproducono i contorcimenti e le nodosità delle piante millenarie sulle quali si sono provate le tempeste e i venti. E' così che il "tokonoma" intorno a cui si svolge la vita domestica, diventa una proiezione del mondo, sulla quale ruotano le vicende del tempo. Così l'uomo, pur nello stretto spazio della casa, partecipa al ciclo delle stagioni, ne avverte il ritmo.

Si racconta che nel mezzo dell'inverno, un signore di Yamashima si recò improvvisamente nella sua villa: c'era tanta neve per terra. Scese da cavallo e bussò alla porta del giardino, e già si spazientiva per l'attesa insolentemente lunga, quando, ansimante e correndo lungo la siepe che cingeva la villa, spuntò il domestico, il quale ai rimbrotti si scusò di quel ritardo: aveva fatto un gran giro perché le sue orme non affondassero nel verginale biancore della neve e il padrone potesse goderne la serenità immacolata. Una poetessa giapponese del X sec. ha scritto:

Se l'uomo che attendo
adesso venisse come mi piacerebbe
che la neve del giardino
fosse calpestata!
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Pino Nero Thunbergii tra le specie più apprezzate come bonsai.

Pino nero thunbergiiVolevo condividere con voi tutti il primo step d'impostazione su uno shohin di pino.

Il Pino Nero Thunbergii genere Pinus, appartiene alla famiglia delle Pinaceae, a cui appartengono anche l'Abete, la Picea e il Larice.

Sono tra le specie più apprezzate come bonsai perchè è una pianta molto longeva e anche coltivata come bonsai, può vivere anche per centinaia di anni.

Acquistai questo piccolo bonsai d'importazione giapponese lo scorso anno dopo esserne stato colpito sia dallo stile inusuale, che dal suo movimento, tanto strano quanto intrigante.

Fino al momento di questa prima impostazione, non ho fatto che cercare di farlo ambientare per bene e di tenerlo al top della vigoria.

Dopo avergli fatto un'attenta selezione degli aghi e tolto tutte le parti troppo deboli, sotto la guida di Luca ho pian piano messo a filo tutta la ramificazione andando ad aprirla e sistemandola in maniera che possa ricevere quanta più luce ed aria possibile.

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